Sociologia e psicologia sono materie estremamente interessanti, perché nel tempo i loro studi hanno permesso la formulazioni di teorie che possono tornare utili nella vita quotidiana: tra queste c’è la connessione tra il lavoro e la Piramide di Maslow, un concetto che riunisce le necessità umane, da quelle più basilari e oggettive a quelle che possono risultare a discrezione personale.
Scopriamo insieme di cosa si tratta.
Cos’è la Piramide di Maslow?
La Piramide che prende il nome dallo studioso Abraham Maslow “nasce” (o meglio fu teorizzata) nel 1943 per poi essere perfezionata nel tempo.
In pratica si tratta di una gerarchia delle necessità umane: alla base ci sono i bisogni fisiologici, come respirare o idratarsi e stare alla giusta temperatura, mentre mano a mano che si sale si trovano bisogni come sicurezza, appartenenza, stima e autorealizzazione. Secondo Maslow non si può salire in cima alla Piramide se prima non sono stati soddisfatti i bisogni più urgenti.
Come usare la Piramide di Maslow per gestire i collaboratori
Si comprende bene, dato che i bisogni in cima alla Piramide sono di autorealizzazione, come la teoria della Piramide di Maslow si possa applicare ai bisogni occupazionali. Perché i bisogni della persona diventano per estensione necessità lavorative: per esempio, alla base del bisogno “fisiologico”, per così dire, c’è il fatto stesso di avere un’occupazione e un salario, oltre che un orario lavorativo che permetta un corretto ritmo circadiano.
Mano a mano che si sale in questa Piramide di Maslow sul lavoro, troviamo:
- i bisogni di sicurezza, che riguardano sia la possibilità di mantenere il lavoro nel tempo sia quella di non infortunarsi o morire sul luogo di lavoro:
- i bisogni di appartenenza, che riguardano l’organizzazione e la serenità in un team di lavoro;
- i bisogni di stima, che attengono alla stima personale dei capi e all’equo compenso;
- i bisogni di autorealizzazione invece riguardano soprattutto svolgere un mestiere che piace, con cui si può avere una carriera proficua e meritata, nel quale si può conciliare la vita sociale, e soprattutto qualcosa che abbia anche un risvolto morale, per cui potersi svegliare ogni mattina e guardarsi allo specchio con serenità.
3 consigli per motivare collaboratori e dipendenti
1. Equo compenso (e bonus)
Per le persone è sempre importante che a un buon lavoro corrisponda uno stipendio giusto. Lo sfruttamento è uno dei modi peggiori per demotivare un collaboratore o un dipendente. Quindi scegliere di pagare il giusto qualcuno che lavora per noi rappresenta una maniera corretta per ringraziarlo dei suoi sforzi (ma anche dire grazie, come vedremo, è importante). Non solo: potete prevedere dei bonus periodici o una tantum per un lavoro particolarmente ben svolto. Saranno molto apprezzati e i dipendenti torneranno al lavoro col sorriso.
2. Attestazioni di stima
I soldi sono importanti, ma non basta pagare un collaboratore se poi lo maltrattate, lo ignorate o lo sottostimate. Le persone che lavorano con noi a volte potrebbero avere bisogno di una metaforica pacca sulla spalla: fategli capire che ciò che fanno ogni giorno è importante per voi, è importante per l’azienda. Troveranno così una motivazione in più, sapendo che c’è qualcuno che conta su di loro.
3. Piccoli aiuti utili
Quando sul lavoro si commettono degli errori, può darsi che il collaboratore non sia a conoscenza di tutti gli strumenti potenzialmente in suo possesso. Per esempio, un dipendente potrebbe avere problemi con l’orario di lavoro e a conciliare vita privata e occupazione: potete suggerirgli quindi di rivolgersi a un servizio di segretaria virtuale, che lo possa agevolare con l’agenda o altro senza che il lavoro o la vita famigliare e sociale ne risentano.